13Mar

Periplo della Sardegna in allegria-il viaggio

Periplo della Sardegna in allegria

25 Maggio – 7 Giugno 2018

 

Testo di Roberto Ganeri

Da quando ho iniziato ad andare in kayak, tardi, a quaranta anni compiuti, la passione per le esplorazioni via mare mi ha spinto sempre un poco più là nel grado di difficoltà, ma sempre con lo spirito del turista, del viaggiatore.

Ho sempre pensato di effettuare lunghi viaggi e spedizioni lungo coste sconosciute e, ancora meglio, se circumnavigando meravigliose isole. Negli anni ho effettuato più di un viaggio in campeggio nautico, sia in solitario che in compagnia di amici, ed ogni volta ho cercato di mettere a frutto l’esperienza per migliorarmi in tutti gli aspetti utili a rendere più sicura e piacevole questa passione; migliorare, sia come kayaker che esploratore (in tutte le sfaccettature che possono avere queste complesse figure).

Quando si è presentata l’occasione di partecipare all’impresa, non saprei come altro chiamarla, di effettuare il periplo della Sardegna in soli 15 giorni, organizzato da Stefano Grassi “Attila”, come quarto elemento di un gruppo di kayakers (Romano Agazzi e Francesco Zerbini) notoriamente forti e di provata esperienza, l’animo avventuriero ha avuto il sopravvento sulla razionalità.

Una prova nuova per me, ardua, forse troppo, ho pensato alla partenza di Fertilia, quando al cospetto di fotografi e giornalisti il panico mi ha assalito per pochi minuti, ma sufficienti a farmi cadere in qualche scelta azzardata, come rinunciare al materassino ed altre cose facenti parte della mia checklist (che aggiorno dopo ogni esperienza), nel tentativo di rendere il mio kayak più leggero e veloce, avendo realizzato in un attimo, che avrei fatto una immensa fatica a seguire i miei compagni di viaggio.

Per questo viaggio ho optato per un kayak diverso da quello utilizzato sia in Croazia che nel giro della Corsica del 2017, che in condizioni di forte vento, mi aveva reso la navigazione eccessivamente impegnativa e non proprio piacevole. Avevo bisogno di sentirmi più sicuro anche in condizioni di mare formato, visto che questa volta avrei dovuto seguire e non guidare i miei compagni. Quindi, preso il mio nuovo kayak, un collaudato Viking e optato per la pagaia groenlandese, almeno per la prima metà del viaggio, mi sono lanciato in questa avventura.

Siamo partiti nel primo pomeriggio, inutile dire che siamo partiti “a tutta”. Prima sosta nei pressi di Is Arenas, dopo circa 38 miglia, pagaiando senza sosta. Le tende montate, ormai al buio, in un silenzio interrotto solo dagli schiaffi scaccia zanzare, stanchi ed affamati. Dopo aver mangiato qualcosina di caldo ho affrontato la prima notte in tenda … senza materassino.

Rotto il ghiaccio del primo giorno di mare, di lì in avanti un susseguirsi di scogliere impervie, meravigliose insenature, promontori e spiagge con dune, hanno costellato il nostro percorso, arricchito di avvistamenti di delfini e splendidi fenicotteri rosa, che ci hanno spesso accompagnato nelle ultime ore di pagaiata di tutti i giorni.

Sapevo già della selvaggia bellezza della Sardegna dai racconti degli amici, racconti che sembravano sempre tanto esagerati ed invece no, non lo erano affatto.

Dopo IS Arenas si sono susseguite Piscinas, con pernottamento sulla spiaggia di Scivu, località come Buggerru, il Pan di zucchero a Masua ed il pernottamento a Sant’Antioco, appena fuori del porto canale, pronti per riprendere il mare l’indomani mattina in direzione SUD.

Lì, il mattino seguente, il maltempo ci ha rallentato per la prima volta, una pioggia fitta ed un vento teso da sud-sud ovest ci ha trattenuti per quasi tutta la mattinata al campo base. Nonostante le imprecazioni di Attila contro la mala sorte, ne abbiamo approfittato per recuperare le forze e reintegrare le scorte alimentari e, appena il vento è calato di intensità, in concomitanza con i pescherecci siciliani di stanza a Sant’Antioco, siamo partiti “sparati”, con l’obiettivo di doppiare Capo Spartivento in giornata.

Oltrepassato Capo Teulada, con la maestosità delle sue alte scogliere, sembrava che Poseidone sorridesse alla nostra impresa premiando la nostra tenacia, abbiamo continuato dritti e con solo una velocissima sosta per uno spuntino “un pezzo di pane” consumato in piedi su una spiaggetta. Svoltando Capo Malfatano però, Poseidone ha volto il suo sguardo altrove, il vento da levante ha gonfiato improvvisamente il mare, Capo Spartivento era lì a poche miglia, abbiamo provato a proseguire, ma il mare si gonfiava con onde e vento impegnativo, tanto da consigliarci di riparare nella spiaggetta di Ferraglione, giusto alle spalle della nostra meta minima giornaliera.

Altra sosta forzata, pernottamento difficile, anche perché il vento non ha dato tregua nemmeno in tenda, tanto che una è stata sradicata e recuperata in acqua.

 

 

 

 

 

 

 

 

l giorno successivo lo abbiamo passato quasi tutto bloccati su quella spiaggia e solo dopo molte ore, nel tardo pomeriggio, quando sembrava persa la speranza di riprendere il viaggio, Il vento ha iniziato a perdere di intensità abbiamo deciso di riprendere comunque il mare e procedere per quanto possibile. Abbiamo doppiato Capo Spartivento e pagaiato per molte ore di notte alla luce delle stelle e della luna, per 13 miglia fino a Nora, dove giunti circa a mezzanotte, siamo riusciti a mangiare qualcosa grazie ad un ristoratore che “mosso a compassione” o “ammirato” dalla tenacia di questi 4 navigatori notturni, ritardando la chiusura di qualche minuto, ci ha offerto qualcosa da consumare velocemente. Quella notte non abbiamo montato le tende, troppo stanchi e vogliosi di recuperare il tempo perso abbiamo dormito sotto un unico telo, su un letto di alghe, stanchi e soddisfatti, ma il peggio ci aspettava l’indomani.

Da Nora a Cala Pira, 46 miglia, è stata la tappa per me più dura, culminata col passaggio a Capo Carbonara, con mare fortissimo, dove ho benedetto la scelta di aver preso un Viking come kayak. Da lì in poi il mio viaggio è cambiato, la sosta a Cala Pira è stata una svolta, quella sera sulla spiaggia prima di entrare in tenda, nonostante la stanchezza, gli eventi della giornata trascorsa mi hanno fatto riflettere. Ho dismesso i panni del kayaker condotto, quale ero stato fino a quel momento, ed ho indossato quelli di co-conduttore con tutti i miei compagni di viaggio, avevo acquistato una diversa consapevolezza delle mie capacità.

L’indomani ho optato per la pagaia europea, che avevo battezzato come pagaia di cortesia e che mi garantiva una punta di velocità maggiore, patendo di meno così le naturali accelerazioni dei miei veloci compagni nei momenti di mare calmo, dove per stare in scia, pagaiando con la groenlandese, dovevo andare a tutta. Quindi con l’aiuto di una forma fisica in crescendo è subentrata anche la convinzione di non essere fuori posto in quel gruppo.

Dopo Cala Pira è stata la volta di Porto Corallo, con una sosta ad ora di pranzo rinfrancante e il piacevole incontro con l’amico Andrea, di passaggio e anche lui in giro in kayak, ma in direzione opposta, ed il pernottamento a Cardeddu, dove ci siamo concessi una cena con Birra e chiacchiere rilassanti in un chioschetto sulla spiaggia.

Poi il magnifico Golfo di Orosei ed il pernottamento accogliente di Cala Gonona, poi ancora, Porto San Paolo al termine della tappa più lunga, con la calorosa accoglienza degli amici della Lega Navale ed una rinfrancante cena finalmente a base di pasta. Anche a Porto San Paolo non abbiamo montato tende, dormendo riparati nella casupola in legno sede della Lega Navale vicino ai nostri kayak. Per me una comoda notte grazie all’amico Emilio Bardi, che mi ha offerto in quell’occasione un materassino, sulle tavole sarebbe stato improponibile.

Lasciato Porto San Paolo ad attenderci ancora paesaggi spettacolari tra Costa Smeralda e l’arcipelago della Maddalena alla sinistra della nostra rotta fino alla spiaggia di Zia Culumba (Capo Testa), dove, ancora una volta, la cortesia sarda ci ha permesso di non montare le tende offrendoci un riparo sotto la tettoia di un lido. Ovviamente il tempo risparmiato per montare il campo per la notte è stato speso per una passeggiata rilassante prima di un sonno ristoratore ed una partenza anticipata l’indomani.

Tutto sembrava più facile, il traguardo più vicino. La partenza di buonora, come sempre, ci ha mostrato la bellezza di Capo Testa, passato il quale il vento contrario ci ha schiarito subito le idee: “Non sei mai arrivato, finché non tagli il traguardo!”. In prossimità di Punta de li Francesi, sulla spiaggia di Vignola di mare, decidiamo che è meglio tirare il fiato, troppe miglia contro vento, col sole allo zenit, non era la cosa migliore da fare. Riposati riprendiamo il mare ancora agitato nel tardo pomeriggio, ma con il vento calante. Giunti alla spiaggia di Tinnari, ormai all’imbrunire decidiamo di fermarci lì per la notte. Attila ci ricorda la buona abitudine di non lasciare residui di cibo in giro, per evitare la visita notturna dei cinghiali che di quella spiaggia sono frequentatori abituali. Dopo Isola Rossa, breve sosta a Castelsardo ed infine il pernottamento a Porto Torres con cena fredda in spiaggia a base di gnocchetti sardi al cinghiale, grazie al figlio di Stefano e la sua fidanzata che ci hanno raggiunti lì. La penultima giornata di mare ci ha visto passare tra L’Asinara e la spiaggia della Pelosa, con il suo mare cristallino come mai avevo visto prima, e ci ha riservato un ennesimo tratto di mare burrascoso, lungo la frastagliata costa Ovest, scarsa di approdi sicuri. Solo in serata la riparata spiaggia di Porto Palma ci ha offerto riparo e il sollievo che tutto era andato bene. L’ultima mattinata di pagaia è scivolata via con molta leggerezza. Costa meravigliosa e passaggi mozzafiato tra l’isola Piana e Capo Caccia sino all’arrivo sotto una fitta pioggia e un vento di terra, ancora una volta contrario, ma inefficace per degli uomini fieri, uomini di MARE.

Dopo circa 500 miglia marine con vento, onde, pioggia e sole, in meno di quattordici giorni abbiamo completato il nostro periplo indimenticabile.

È stato sicuramente un viaggio diverso dai miei precedenti, da molti punti di vista, per l’intensità dell’impegno, il “leggero” stress per un tentativo di record, estremizzante e non poco la filosofia che io credo sia quella del kayak da mare, per me “turistica”. Ma ciò non toglie la soddisfazione per un “sedato” agonista come me, di essere riuscito a seguire kayakers ben più forti ed esperti, anzi, pagaiare al loro fianco ha aumentato la mia autostima e la convinzione nelle mie capacità, oltre alla conferma che in questi anni sono cresciuto come uomo di mare ed esploratore, anche se di strada, pardon, di mare c’è ne è sempre molto da fare.

Come sempre, in questi casi ci sono dei ringraziamenti da fare, in primis mia moglie Ayme, che mi sopporta sulla terra ferma ed ora, spesso, anche in acque calme; gli amici Riccardo e Marina, sponsor morali e fonte di consigli; ed in ordine strettamente anagrafico i miei compagni d’avventura Attila, Zeb e Romano

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