SARDEGNA COSTA EST Vacanza di Settembre 2020
testo di Giacomo Cavalca
Quest’anno la destinazione doveva essere Cefalonia. Con gli amici Paolo e Andrea puntavamo alla Grecia ionica, l’avevamo deciso fin da luglio 2019, di ritorno da una settimana nel Quarnaro. Passa qualche mese e a fine gennaio, ignari di quello che si sarebbe scatenato poco dopo, ci eravamo lanciati a comprare i biglietti dei traghetti e via, sembrava davvero fatta. In kayak per due settimane piene, campeggio nautico lontano da tutto e da tutti! Avevamo la data e l’ora precise in cui presentarci ad Ancona. Vedevamo già la nave in porto, pronta a caricare noi e i kayak; la mente costruiva il percorso, calcolava le distanze, i tempi. Come sempre accade, il cuore viaggiava veloce, forse troppo: “… magari se spingiamo un po’ riusciamo pure a fare il giro di Itaka prima di riprendere la nave” si era lanciato a proporre uno dei tre …
Neanche tre settimane dopo è cominciato quello che sappiamo e che ha caratterizzato tutto il 2020. Dopo i primissimi mesi in cui si sperava che per giugno tutto si sarebbe risolto, abbiamo dovuto guardare in faccia la realtà, annullare il biglietto e come molti altri portarci a casa un bel voucher traghetti per il 2021. Di lì a poco si è aggiunto un problema di salute per Andrea, fortunatamente risoltosi, che ha ulteriormente cambiato il quadro.
La primavera e l’estate passano, io e Paolo ci sentiamo, così cancelliamo le ferie estive senza progetti precisi. Si arriva a settembre e alla fine decidiamo: si resta in Italia, ma il giro lo facciamo. Obbiettivo, la costa est della Sardegna, da San Teodoro a Cagliari.
E’ così che la mattina del 13 settembre 2020 partiamo dalla spiaggia di San Teodoro, one-way verso Cagliari. Abbiamo davanti 280 km di mare, 10-12 gg di pagaiate e tanta bellezza con cui riempirci gli occhi.
Pronti – via!
Con Paolo c’è affiatamento, siamo sulla stessa lunghezza …d’onda. Niente maratone ma buon passo, alterneremo campeggi lungo spiaggia e nottate in posti isolati. Sappiamo che la vera fatica di un viaggio “lungo” è entrare nell’ottica del montare e smontare il campo ogni sera e mattina, del togli e metti nei gavoni mentre il pagaiare, di per sé, è quasi la parte facile delle giornate.
La prima giornata ci vede impegnati a prendere confidenza con i kayak appesantiti dal carico, con le onde, col ricordarsi in quale gavone abbiamo stivato la tal cosa, col chiederci e richiederci mentalmente se l’abbiamo davvero portata o meno.
A pranzo facciamo stop in zona Budoni, che come quasi tutte le spiagge che incontreremo è praticamente deserta. A sera siamo a Posada, al campeggio Ermosa, e per raggiungerlo percorriamo uno di quei canali dietro le spiagge che conducono a stagni pieni di volatili e pesci. Un po’ mi ricorda gli ambienti della litoranea veneta, percorsa a ottobre 2019.
Il giorno dopo ripercorriamo i canali, sbuchiamo in mare e iniziamo la giornata. Prima sosta poco a nord di Capo Comino, con un rientro in acqua che ci mette alla prova, c’è un po’ di vento che crea qualche onda frangente a riva.
Alla sera raggiungiamo Cala Liberotto, anche qui in un campeggio interno, per arrivare al quale dovremo fare una di quelle operazioni anfibie che capitano agli avventurieri fai da te … perché in teoria doveva esserci il canale di ingresso dalla spiaggia, solo che …. è secco! quindi ci facciamo circa 50 metri con i kayak a mano, per scollinare la spiaggia fino allo stagno dove ritorna ad esserci acqua, insomma la botta finale di una giornata già bella “piena”.
Al mattino riviviamo l’esperienza del giorno prima per superare la duna, e partiamo già un po’ cotti, ma dopo una decina di km entriamo nel golfo di Orosei, fermandoci all’inizio dell’omonima spiaggia, uno spettacolo.
Inizia a questo punto una parte molto pittoresca della Sardegna, che poco a poco comincia a mostrare i propri bastioni rocciosi più imponenti. A metà pomeriggio arriviamo a Cala Gonone dove, nonostante la stagione avanzata, troviamo decine di gommoni che scorrazzano come kart tra i gavitelli, di ritorno dalle visite alle grotte, il Bue Marino in primis.
Eccoci alla grotta del Bue Marino. L’abbiamo sentita nominare tantissime volte, come fosse il non plus ultra delle grotte. In realtà non è troppo piaciuta, ma non perché non sia bella. E’ bellissima ovviamente. Ma è antropizzata da far paura. Appena ci avviciniamo, mi saltano all’occhio passerelle in acciaio splendente, catenarie, corrimano anticaduta, lunghi basamenti in cemento, scalette etc, che la fanno sembrare più un mini parco avventura, che non un punto unico nella morfologia della costa …
Mi conosco e l’ho già capito: via via che le scopriremo (è la prima volta che pagaio in queste zone) apprezzerò di più grotte piccole, magari un po’ nascoste, meno eclatanti, ma meno compromesse dall’essere umano, che andremo a scoprire grazie al kayak.
A fine giornata siamo alle grotte di Cala Luna, che viste a quest’ora senza nessuno in giro, colpiscono l’immaginazione: sembrano immense finestre a sesto acuto, come progettate da qualche architetto saraceno, passato di qui insieme ai pirati dei secoli passati …
Questa sera ci accamperemo qui, avremo una tenda di pietra sopra la testa, anzi il cielo, perché mettiamo i sacchi a pelo quasi fuori dalla grotta. Esperienza unica dormire lì, senza nessuno, senza rumori … anzi qualcuno c’è: un topolino, che furtivo esce da qualche buco delle rocce mentre ceniamo alla luce delle torce, e che vediamo aggirarsi tra i gavoni in cerca ovviamente di qualcosa da acchiappare, e appena si accorge di noi, torna veloce nel suo buco e non lo rivedremo più!
L’indomani mattina ci alziamo con un sole bellissimo e partiamo presto, il fatto di essere a pochi metri dall’acqua facilita le operazioni. Facciamo un primo stop a Cala Sisine.
Quindi ripartiamo e continuiamo a perlustrare anfratti più o meno profondi.
Ci fermiamo per pranzo a Cala Biriala, perché da lì in poi non ci saranno troppe possibilità di sbarco. Purtroppo questa spiaggia è ancora affollata con gente che arriva sosta e se ne torna con le solite barche/gommoni che arrivano fin sulla spiaggia: si puntano sui ciottoli con il muso tenendo il motore acceso, calano in prua la passerella e fanno salire/scendere decine di turisti. Sono scene già viste, io e Paolo ci sentiamo marziani, meno male che esiste il kayak, evviva il kayak!
Riprendiamo a pagaiare diretti a Cala Goloritze. Passiamo Cala Mariuolu, la spiaggia dei Gabbiani, altre calette una più bella dell’altra, e il pomeriggio che avanza, si dirada di barche e gommoni, lasciandoci l’illusione di pagaiare in territori remoti.
Alla fine, verso le 18, arriviamo a Cala Goloritze, praticamente deserta, e qui, ancora sui kayak a pochi metri dalla spiaggia sotto l’alto sperone, non facciamo in tempo a tirare un attimo il fiato che un ranger comunale, intento a camminare di qua e di là in modo un po’ agitato, ci rivolge la domanda che ci fa piombare direttamente nel film “Non ci resta che piangere”: in tono perentorio, rivolto a noi comincia con un “Voi due, da dove venite?” Un secondo dopo, senza aspettare risposta, continua con un “e di chi sono i kayak?”
A quel punto, un po’ presi alla sprovvista, un po’ cotti dalla giornata, ci guardiamo tra noi , perché non capiamo la ragione di quelle domande. Fatto sta che dopo qualche secondo, ripresomi dal primo impatto con il ranger, rispondo che veniamo da Cala Luna, e che i kayak sono nostri.
Lui ci spiega che scende a Cala Goloritze ogni pomeriggio, per accertarsi che tutti i turisti scesi dal sentiero proveniente dall’altopiano del Golgo, sopra Baunei, risalgano entro una certa ora ad evitare che qualcuno rimanga a dormire in spiaggia.
Ci informa che non possiamo fermarci, né tantomeno dormire in spiaggia, e che dobbiamo tornare a Cala Luna per accamparci (in realtà anche a Cala Luna ci sono i cartelli che lo vietano). Ci segnala inoltre, per intimorirci credo, che gli addetti del Comune di Baunei perlustrano anche la sera tutta l’area con i gommoni …
Consapevoli delle restrizioni e dei controlli, confermiamo di aver ben capito, e quindi proseguiamo in cerca di qualche altro posto meno frequentato.
Detto ciò, riprendiamo la navigazione, passiamo sotto il famoso arco e proseguiamo per un paio di km. Prima di ritornare sui nostri passi, ci mettiamo a perlustrare ogni anfratto e subito dopo Cala Goloritzè, e quasi per caso, notiamo un’apertura che poi apprenderemo essere la grotta della Contessa, ci entriamo, e scopriamo un ambiente bellissimo, una camera accessibile solo a nuoto o in kayak, per il poco spazio libero dell’arco in ingresso. All’interno si apre un’ampia camera, di un ventina di metri di diametro, alta più o meno altrettanto, con la particolarità di essere però illuminata non solo dall’ingresso, ma anche da una ampia finestra aperta a metà della parete che divide la grotta dal mare. Inoltre, la grotta sembra una piscina coperta, perché ha il fondale di grossi sassi tondi e profondo ovunque appena 50-80 centimetri.
Ringalluzziti per questa bella scoperta (l’indomani torneremo a visitare la grotta con la luce piena del sole, e faremo il bagno scendendo dai kayak sul basso fondale), iniziamo a tornare verso Cala Goloritzè, ormai a tramonto inoltrato, e possiamo finalmente immergerci nella magia di questo posto assoluto con tutte le cautele e precauzioni in rispetto della natura e dell’ambiente, cosa del resto abituale per noi escursionisti in kayak da mare.
Per la notte arretriamo di qualche decina di metri dalla Cala vera e propria, perlustrando le zone di atterraggio in modo che abbiamo lo spazio per il campo e non siamo esposti alla caduta di sassi dalle scogliere e quindi in sicurezza.
Troviamo un posto adatto, e la spiaggia fa uno scalino abbastanza pronunciato che nasconde dal mare i kayak una volta messi a terra. E’ un posto incredibile, una falesia che mette i brividi, comprendiamo benissimo la necessità di salvaguardare l’area in modo ferreo così come è ferrea la regola che è sempre la stessa: non lasciare tracce del proprio passaggio e portarsi a casa, oltre alle emozioni, la nostra “rumenta” e se possibile quella di chiunque ne abbia indebitamente lasciata prima di noi.
Come ieri sera, anche oggi dormiremo sotto le stelle. Stare sdraiati con la testa in su e vedere le immense scogliere che incombono, ci rende timorosi. Durante la notte circa ogni due ore ci sveglieremo perché, anche se sembra immobile, in realtà la falesia, più o meno a intervalli regolari, scarica piccoli sassetti, che nel silenzio della notte sembrano sempre scendere troppo vicini.
Al mattino, dopo un bellissimo bagno, ci imbarchiamo. Destinazione odierna è la lunga spiaggia di Iscrixedda, dopo Santa Maria Navarrese, dove troveremo un campeggio.
Entriamo nei due fiordi di Portu Cuau e Portu Pedrosu, che segnano l’uscita dal golfo di Orosei, quindi passeremo dalla enorme grotta dei Colombi, che impressiona per le dimensioni e la forma ad anfiteatro rivolto verso il mare, per arrivare a Pedra Longa, immenso mehnir incastrato sul mare, dove faremo sosta pranzo.
Evento notevole del giorno: il rapala che da qualche giorno infruttuosamente mi trascino dietro, comincia a dare i primi frutti e a fine giornata avremo 4 ricciole da cucinare alla griglia.
Durante questa giornata incontriamo 3 kayak, gli unici che vedremo in tutti gli 11 giorni di viaggio.
spiaggia di Iscrixedda al mattino con Capo di Monte Santu sullo sfondo
Il giorno dopo ci vede superare Arbatax, con stop alla spiaggia di Cea per pranzo dove ci fermiamo ad un bel baretto per una birra “comediocomanda”, che a pensarci, non sembra vero essere riusciti a fare tutte queste cose in una estate così balorda.
Ci fermiamo un paio di km dopo la Torre di Bari Sardo, al campeggio Ultima Spiaggia, ben attrezzato ma che ovviamente non ha il fascino dei posti che abbiamo visto nei giorni precedenti. La doccia calda e una pizza fanno gola, ma l’emozione di dormire in certi posti è insuperabile …
I kayak sulla spiaggia di Planargia, dopo Bari Sardo
Al mattino ripartiamo, questa sarà una giornata abbastanza faticosa con i suoi 34 km, fino alla spiaggia di Quirra. La costa, dopo la lunga spiaggia di Bari Sardo, ricomincia a presentare dei grandiosi promontori, che creano sia spiagge ridossate alle montagne (tipo quella di Coccorocci) con molti anfratti e alcuni squarci nei costoni rocciosi strapiombanti, dove davvero ci entra a malapena la prua del kayak, come quelli nella zona di Capo Sferracavallo.
una delle grotte di Capo Sferracavallo
Al tramonto arriviamo finalmente all’inizio della spiaggia di Quirra, annunciata dalle varie installazioni militari che spuntano qua e là sulle montagne circostanti. La spiaggia è immensa e anche molto profonda, noi ci mettiamo quasi all’inizio, anche perché non vediamo l’ora di attrezzare il campo, coprirci, e preparare la brace: anche oggi il rapala ha fatto un buon lavoro regalandoci 3 ricciole!
Il risveglio a Quirra ci regala una bella alba, ma anche qualche nuvola, e di lì a poche ore ci attende l’unico acquazzone della vacanza.
Lasciata Quirra passiamo sotto lo scempio edilizio di Porto Tramatzu, sosta pranzo in un bel baretto di un’area Camper subito dopo Porto Corallo, e alla sera ci fermeremo a metà circa dello spiaggione infinito di Muravera, al Campeggio 4 Mori.
Al mattino si riparte con un cielo azzurro come pochi, dopo aver fatto asciugare un po’ di umidità notturna al primo sole.
A fine mattinata un breve stop nella parte finale della spiaggia, all’altezza del Villaggio Colostrai. Comincia a questo punto una zona di rocce che, sebbene non altissime, sono molto interessanti per la varietà di colori e di forme, e ci accompagna fino alle insenature di capo Ferrato, dove ci fermiamo per pranzo e dove raccogliamo due sacconi di spazzatura.
insenatura prima di Capo Ferrato
Il luogo della sosta è bellissimo, facciamo un bagno da cartolina, pranziamo e ci mettiamo a raccogliere un po’ di rumenta di quella che si accumula negli anfratti più nascosti. Raccogli a destra e sinistra, in breve ci troviamo a dover gestire dei mucchi, soprattutto pezzi di polistirolo e bottiglie di plastica. Tolgo dal gavone due sacchi di quelli per la raccolta per la plastica, li porto sempre con me per ogni evenienza, e nel giro di mezz’ora li riempiamo all’inverosimile. A quel punto usiamo le cime a nostra disposizione, per legarli sul ponte posteriore, più possibile vicini al pozzetto e più solidali possibili con il kayak.
E’ bastato poi fare due passi fino alla sommità del Capo e guardare oltre, per vedere confermate le nostre impressioni. Fuori dal ridosso dove siamo, saremo esposti ad un bel vento da Sud, che ci darà davvero del filo da torcere per doppiare il capo e avvicinarci alla spiaggia di Costa Rei. I due sacchi di spazzatura, aggiungeranno effetto vela e instabilità.
Fuori dal ridosso il mare è spianato dal vento … Si verifica in questo frangente una cosa che inizialmente io e Paolo interpretiamo in modo errato, ma che poi si rivelerà invece una azione da parte della Guardia Costiera che apprezzeremo.
Durante la mezz’ora di raccolta, ancora non ben consci della situazione di vento che ci aspetta, notiamo a circa 400-500 metri, una motovedetta della GC che staziona ferma, e un operatore che ci osserva col cannocchiale. Tra noi pensiamo che ci stiano osservando per vedere se facciamo qualcosa di sospetto, ma non avendo nulla da nascondere procediamo nel nostro lavoro di spazzini, carichiamo i kayak e partiamo verso il Capo e la motovedetta parte con noi.
Dieci minuti dopo, quando veniamo investiti dal vento e dalle onde che si creano intorno al capo, la motovedetta resta sempre esterna alla costa di circa 300 mt, e procede al nostro passo, praticamente tenendoci d’occhio per una mezz’oretta, fino a quando riusciamo a doppiare la zona del Capo Ferrato e portarci più sotto costa verso la spiaggia di Costa Rei.
A quel punto la motovedetta si sgancia e procede speditamente verso Sud, mentre io e Paolo arranchiamo, paralleli a poche decine di metri dalla riva, verso uno dei primi bar della spiaggia ove poterci liberare dei due sacchi e rifocillarci.
a sinistra il bar, a destra Capo Ferrato
La giornata è ancora lunga, puntiamo a Cala Sinzias, dove arriviamo col buio e oggi la stanchezza si fa sentire. Per i prossimi giorni e fino alla fine del viaggio avremo vento da Sud che ci farà faticare un po’ di più rispetto ai giorni passati.
Al mattino i colori sono completamente diversi e anche questa spiaggia si mostra in tutta la sua bellezza.
Già ieri, costeggiando la zona di Costa Rei, abbiamo capito di essere in qualche modo tornati in zone più sfruttate. Si vedono molti bar lungo le spiagge, e anche se è settembre inoltrato ci sono ancora molti ombrelloni aperti.
Oggi, soprattutto arrivando a Punta Molentis e Simius, avremo la conferma.
Molti turisti, molte infrastrutture … e prezzi più cari per la birra al bar della spiaggia, atteggiamenti freddi e meno accoglienti da parte dei gestori delle strutture, insomma un’atmosfera che, pur nulla togliendo alla bellezza dei posti, fa già rimpiangere le zone attraversate i giorni scorsi.
Assetati come poche altre volte per il gran caldo, faremo fatica a trovare una birra per il fatto che i primi due bar (molto chic) presenti a ridosso delle file di sdraio messe sulla spiaggia, si rifiuteranno di venderci le birre, adducendo il fatto di potere esclusivamente servire i clienti dei rispettivi villaggi turistici a cui le file di sdraio fanno riferimento. No comment.
Alla fine riusciamo a comprare due sacchetti di patatine sgrause e due birre, ma a caro prezzo.
il faro sull’isola dei Cavoli verso Capo Carbonara
Riprendiamo la strada, anzi l’acqua, il vento per ora debole non disturba, ma a ridosso di Capo Carbonara, e appena ci insinuiamo tra l’isola dei Cavoli e il Capo vero e proprio, ecco che si rifà vivo, insieme a delle belle ondine che ci mettono alla prova. Il momento è importante, tra poco giriamo sulla destra e mettiamo la prua verso Nord Ovest, perché la nostra destinazione è una piccola insenatura (Cuccureddu?) poco oltre Campolongu. E’ una spiaggia vuota, che ha una unica villa squadrata bianca, all’estremo ovest.
L’arrivo a terra è impegnativo, perché ora il vento e le onde sono di poppa.
Al mattino seguente si inizia con mare calmo, il vento di ieri sembra essersi calmato. Costeggiamo vari anfratti e piccole insenature, la stanchezza pare inizi a farsi sentire, o forse c’è un po’ di foschia e afa che rendono pesante il pagaiare?
Verso l’ora di pranzo si cominciano a vedere corposi agglomerati di seconde case, e in lontananza si indovina la presenza di Cagliari. Dobbiamo arrivare alla spiaggia di Flumini, dove ci aspetta un B&B proprio sulla spiaggia.
Nel pomeriggio si alza il vento, ora è di traverso e sembra proprio che Eolo abbia deciso di metterci a prova. Riusciamo ad avanzare abbastanza spediti, ma è difficile mantenere la rotta tra le onde e controllare di non oltrepassare il punto della spiaggia dove si trova il B&B.
Poi ad un certo punto, mi volto a destra e vedo una casa ad un piano con le persiane blu mare, e mi ricordo che era proprio il colore delle persiane che avevo visto in foto all’atto della prenotazione. Virata di 90° e punto deciso verso la spiaggia, Paolo mi vede e fa altrettanto. In 10 minuti ci lanciamo in un ultimo atterraggio, forse il più ruvido tra tutti quelli fatti finora, ma usciamo senza danni, esattamente davanti al B&B: arrivati a destinazione!
E’ giovedì 24 settembre, abbiamo pagaiato per 11 giorni con tempo splendido, senza incidenti a noi o ai materiali, quindi non poteva andare meglio.
Ritiriamo i kayak nel giardino e riprendiamo contatto con un letto e una doccia come si deve.
spiaggia di Flumini verso Cagliari
La vacanza in navigazione si è felicemente portata a termine e nei successivi giorni ci concediamo altro ma cercando di tenere a riposo i nostri “affezionati” kayak.
Il mattino seguente prendiamo il treno a Cagliari, 5 ore sul “regionale” che dopo 17 fermate ci porta a Olbia. Un viaggio bellissimo che ci permette di ammirare quanto sia immensa e unica questa regione, con paesaggi da film che sembrano non finire mai. Non mi aspettavo di vedere un territorio così poco popolato e così ricco da un punto di vista paesaggistico. Le sugherete si susseguono a perdita d’occhio, boschi, pianure punteggiate da piccole fattorie, costruite spesso adiacenti a nuraghi millenari.
Ad Olbia prendiamo il pullman per San Teodoro, dove riprendiamo l’auto e in tarda serata arriviamo a Cagliari.
L’indomani, sabato 26, decidiamo di non puntare subito su Cagliari, avendo noi la nave di domenica sera, ma di fermarci a Iscrixedda per un breve trekking.
Arrivati ad Iscrixedda, in tarda mattinata montiamo le tende e poi ci dirigiamo a Baunei per una breve visita.
Il paese di Baunei è impressionante, abbarbicato su un costone di montagna che non capisci bene come abbiano fatto a costruirlo.
E poi su verso l’altopiano del Golgo, da dove prenderemo il sentiero che a piedi ci porta fino a Cala Goloritzè, permettendoci di arrivare via terra negli stessi punti che avevamo toccato pochi giorni prima via mare.
Alla sera mangiamo a Baunei, poi rientro al campeggio Iscrixedda.
Altopiano del Golgo e Cala Goloritzè
La domenica mattina, vero ultimo giorno di vacanza, non sazi dei km fatti in kayak negli ultimi giorni, decidiamo nonostante il forte vento da terra una ultima uscita breve per arrivare fino allo stagno di Tortolì, che ha un canale di ingresso a fine spiaggia.
Facciamo circa due km lungo la spiaggia, ma il vento da terra è così forte che decidiamo di atterrare subito. Andiamo a piedi a dare un occhio allo stagno e al canale di accesso, il vento è talmente forte che non si riuscirebbe assolutamente né ad entrare nel canale per risalirlo né a farsi il giro nello stagno, la superficie dell’acqua è spazzata dal vento teso.
Decidiamo di aspettare un po’ prima di rimettere i kayak in acqua per rientrare, per far calmare il vento. Noi ci mettiamo a riparo dietro una staccionata, i kayak (oggi per la prima volta completamente scarichi) sono in spiaggia, ma il vento è così forte che li fa pivottare come se fossero i galletti di un segnavento. Per evitare che vengano trascinati in acqua li puntelliamo con dei bastoni di legno piantati verticalmente ai lati di poppa e prua.
Dopo un’ora il vento sembra calare. Proviamo ad metterli in acqua, ci ripetiamo e proponiamo di stare vicino alla spiaggia, il vento spinge decisamente al largo.
Mi ripropongo di procedere stando sotto riva a non più di 10 metri, ma mi trovo spinto a una trentina di metri che presto diventano 70-100. Con l’aiuto dello skeg e pagaiando praticamente solo di destro riesco a procedere quasi parallelo, mentre vedo che Paolo viene spinto più al largo. Lungo l’immensa spiaggia, proprio per il vento fortissimo, non c’è anima viva. Risaliamo verso nord a fatica, c’è un punto della lunghissima spiaggia che dobbiamo percorrere dove si interrompe la folta barriera di alberi della pineta. In corrispondenza di questa apertura si genera un tunnel di vento ancora più forte, si pagaia inclinati di 30° a sinistra per compensare l’effetto del vento.
Sulla mia destra vedo Paolo sempre più al largo, ormai quasi a 500-600 metri e il vento non dà tregua (il suo kayak non ha né skeg né timone). Mi chiedo cosa sia meglio fare. Prima di tutto evitare di ribaltarmi, perché una risalita da solo sarebbe molto difficoltosa e il vento trascinerebbe via subito me e il kayak. Ma Paolo viene spinto sempre più al largo. Scarto subito l’idea impulsiva di raggiungerlo per assistenza: eventuali traini sarebbero impossibili contro il vento che proviene dalla spiaggia, e se venissimo spinti al largo tutti e due non avremmo modo di dare allarme. Con la coda dell’occhio continuo a controllare che anche lui non si ribalti e che sebbene allargandosi continui a procedere verso nord. A me mancano circa 10 minuti per arrivare al campeggio. Vedo allora di non perderlo di vista, arrivare prima possibile nel punto di spiaggia da cui siamo partiti dove c’è il campeggio e tirar a riva il mio kayak, da lì continuare ad osservarlo fintanto che sia fuori pericolo (in acqua è impossibile anche solo pensare di togliere le mani dalla pagaia e men che meno effettuare una chiamata di soccorso). In caso si ribalti o continui la deriva verso il largo, mi attiverò chiamando la capitaneria di Arbatax o Santa Maria Navarrese, per far uscire un gommone a recuperarlo: il vento è molto forte, ma venendo da terra non genera onde nella zona in cui ci troviamo, per cui non credo che un gommone avrebbe difficoltà al recupero.
Arrivo quindi in spiaggia. Fortunatamente dopo una ventina di minuti vedo che anche Paolo riesce a mettere la prua verso riva e faticosamente, con un arco molto largo, arriva alla fine in spiaggia con reciproca soddisfazione.
Tutto è bene quel che finisce bene!
A posteriori, discutendo insieme dell’accaduto, quell’uscita avremmo potuto evitarcela visto il vento fin dalla partenza, e sarebbe stato molto meglio lasciare i kayak sul tetto della macchina a riposo … Morale: la prudenza non è mai troppa e da questa inattesa avventura, ne dobbiamo trarre beneficio per il futuro.
Ad ogni modo, ancora un po’ scossi per la sberla ricevuta ci cambiamo i vestiti, una doccia, carichiamo la macchina e partiamo alla volta di Dorgali per pranzo, altro paese molto particolare.
Nel pomeriggio percorreremo la SS 125, una strada fantastica che costeggia il massiccio del Gennargentu, passando da altipiani infiniti e aprendosi su squarci geologici incredibili.
Arriviamo alla Cantoniera del Passo di Silana, a mille metri di altitudine, con un vento rabbioso che sembra voglia strappar i kayak dal tetto dell’auto, ci fermiamo giusto il tempo di tirare le cinghie, l’aria è fredda come in alta montagna.
Sul tardo pomeriggio eccoci quindi in dirittura di Olbia, la nave è già lì.
La vacanza è proprio finita ma devo dire che è stata davvero vacanza memorabile e sarà ricordata a lungo!
In fila sul piazzale dei traghetti, aspettando di entrare nella pancia della nave, facciamo l’ultima foto, poi Paolo d’un tratto la butta lì: “E se l’anno prossimo ci facessimo il lato Ovest?????”.